Il trittico delle meraviglie.

Un titolo semplice «Il Cinquecento a Firenze» che nasconde una mostra affascinante e complessa, frutto di anni di lavoro, con una qualità media elevatissima delle opere esposte e con l’ambizione di andare oltre i luoghi comuni senza essere specialistica, ma puntando sulla bellezza e la divulgazione. E che può contare sulla straordinaria prima volta dell’accostamento — la sala toglie letteralmente il respiro — della Deposizione del Pontormo di Santa Felicita con la Deposizione del Rosso Fiorentino di Volterra ed il Compianto su Cristo morto del Bronzino di Besançon che torna a Firenze dopo 500 anni. Il Cinquecento a Firenze. “Maniera moderna” e Controriforma apre domani e chiude la trilogia di mostre di Palazzo Strozzi a cura di Carlo Falciani e Antonio Natali, iniziata con «Bronzino» nel 2010 e proseguita con il grande successo di «Pontormo e Rosso Fiorentino» nel 2014, con un percorso che termina nel Seicento e grandi artisti, accanto a nomi meno celebri ma non per questo di minor valore. «La scelta fondamentale è stata di offrire solo opere belle, non tutte quelle storicamente significative — spiega Antonio Natali, — così da dare occasione di innamoramento ai visitatori, stimoli di curiosità intellettuale. Una mostra divulgativa, io considero questo termine un complimento, non una offesa, anche se difficile; che parte dai grandi maestri non perché vuole opere feticcio, ma perché altrimenti il percorso artistico e culturale non sarebbe comprensibile. Spero che in tanti vengano, non perché mi interessano i numeri — aggiunge l’ex direttore degli Uffizi — anzi all’uscita delle mostre degli Uffizi avrei voluto non un conta persone ma un “culturometro” che mi dicesse quanto avevano appreso, ma perché qui si uniscono sacro e profano, in un percorso fuori dall’ordinario; come lo è sicuramente la possibilità di vedere le tre grandi pale affiancate». «Mettendo accanto i linguaggi dei vari artisti, sia quello umano che quello sacro — aggiunge Carlo Falciani — si vede anche che certi luoghi comuni non hanno motivo di esistere: il Manierismo non fu un decadimento dell’Umanesimo, la Controriforma non fu una chiusura ma produsse una nuova arte».

La mostra è stata presentata ieri a Palazzo Strozzi ed è stata realizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi con Arcidiocesi di Firenze, Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno, Soprintendenza, con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e sponsor principale il Gruppo Unipol e con il supporto di Comune e Camera di Commercio di Firenze, Regione Toscana e Associazione Partners Palazzo Strozzi. Esposte oltre 70 opere, tra dipinti e sculture, di 41 artisti e 19 di queste sono state restaurate, grazie anche ai fondi dei privati, Friends of Florence (che ha finanziato anche il restauro della Deposizione del Pontormo) e Banca Federico Del Vecchio, per una spesa totale di 350.000 euro: «È una eredità della mostra che resterà al territorio, valorizzando ancora di più il nostro patrimonio grazie ad importanti restauri — sottolinea Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi — La rassegna è stata possibile grazie a grandi prestiti, come quello della municipalità di Besançon, con opere bellissime». Alla presentazione anche il cardinale e arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori: «La mostra spiega che la Chiesa ha molto da dire sull’arte, di oggi e di ieri, che i contenuti di tanti capolavori sono forniti dalla Chiesa, anche con il mecenatismo. Controriforma è una brutta parola, fa pensare all’oscurantismo, alla repressione. Invece — aggiunge — basta guardare queste opere per capire che quel pensiero fu anche una esplosione di idee, bellezza, colori; un pensiero creativo, produttivo, non chiuso».

Il percorso inizia dalla forza del Dio fluviale di Michelangelo e dal Compianto sul Cristo morto di Andrea Del Sarto — «il pittore più copiato del secolo», sottolinea Natali — per proseguire con il positivo choc della sala con le tre pale riunite e continuare con la sezione sugli altari della Controriforma, al centro della sala un magnifico Crocifisso in bronzo del Giambologna proveniente dalla basilica fiorentina della Santissima Annunziata, sullo Studiolo di Francesco I de’ Medici e affascinare con allegorie e miti e con i ritratti prima del finale che introduce al Seicento con le opere di Santi di Tito, Alessandro Allori e Ludovico Cigoli. Le luci arrivano dall’alto e le grandi pale sono tutte senza cornici, incassate nelle pareti grigie che formano gran parte dell’allestimento. «È una scelta voluta — afferma Natali — La cornice separa, evidenzia, distrae anche per così dire dall’opera. Volevamo sottolineare l’ambiente di chiesa da cui provengono, il dialogo tra le varie opere, il percorso comune che porta dai maestri anche ingombranti come Michelangelo e Andrea Del Sarto al Seicento». «E sarebbe bello — conclude l’altro curatore, Carlo Falciani — che tanti tornassero a vedere la mostra dopo aver visitato le chiese fiorentine, Palazzo Vecchio e lo Studiolo. Sono l’umanità e la cultura, non la magnificenza, ad aver prodotto queste opere, questi linguaggi, la bellezza».