di Pierluigi Piccini
Il sindaco Bussagli pensava che il comune da lui amministrato (Poggibonsi) fosse diventato l’ombelico del mondo dopo l’intervento di Renzi alla festa dell’Unità (L’Unità? Cos’è questa sconosciuta), ma a guardare bene non è così. Sono andato a vedere il sito Facebook di Renzi e di Poggibonsi nessuna traccia, l’unico video che appare è quello relativo all’intervento fatto dal segretario del Pd a Castelfiorentino. Strano! Mi sono detto. Da cosa sarà dipesa questa dimenticanza, non bisognava poggibonsizzare l’Italia? Pensandoci bene sono arrivato alla seguente conclusione: Bussagli ha fatto per Orlando e il sindaco di Castefiorentino no, era per Renzi alle primarie. È l’unica spiegazione che sono riuscito a darmi. Alla faccia del vogliamoci bene, ricomponiamo la sinistra, avvaliamoci delle competenze interne ed esterne, i veti esistono ancora e come nel Pd! Poggibonsizzare è stato dato in pasto ai presenti, per richiamare l’applauso, quella che in gergo teatrale viene detta, la chiamata.
Ma l’aspetto che mi interessa è un altro: le considerazioni che fa un libro appena uscito sul Pd. Gli autori propongono delle questioni e delle domande che meritano una riflessione. Considerazioni che riporterò per intero, lasciando a chi legge l’arduo compito della riflessione. “Che cos’è il Partito democratico? Un partito etico fondato sull’egualitarismo intransigente? Oppure un partito socialdemocratico riformista, che si configura come la risposta alla crisi del partito socialdemocratico novecentesco? Nella storia dell’alternanza dei suoi Segretari (Veltroni, poi Pier Luigi Bersani, infine Matteo Renzi) si configurano queste tre ipotesi (forse la prima è la terza più vicine tra loro). La sintesi tuttavia è un partito che per molti motivi non è riuscito ad assumere compiutamente nessuna di queste tre diverse fisionomie”[…]”La seconda riguarda il rapporto tra partito e società civile. È un rapporto che non si risolve nella struttura di partito cui, in maniera opposta, tentano di dare un volto prima Veltroni – maggiormente orientato a premiare la partecipazione dell’elettorato – e poi Bersani, rivolto a dare un ruolo alla struttura organizzativa e dunque a premiare i funzionari, gli apparati”[…]”La gestione del partito di Matteo Renzi, in parte ne modifica la fisionomia. Una struttura di partito schiacciata sulla sua leadership a fronte di un gruppo parlamentare inquieto”[…]”Il problema, dopo dieci anni in gran parte segnati dal processo di consunzione delle sue leadership, infatti trasforma la sopravvivenza del partito nel fine ultimo della sua azione. Un dato che in assenza di una cultura politica solida, di una identità politica unitaria, denuncia un forte radicamento delle culture di provenienza che a sua volta produce instabilità della leadership”[…]”nasce il partito democratico, ma non si forma la cultura di quel partito. Il punto di debolezza è ancora lì: in quel dato ancora oggi non risolto e già presente al momento di nascere: il Pd è l’ultimo partito o un partito mancato?”.
Interessante, vero? Ma così lontano dalla riflessione dei dirigenti e dei militanti occupati a definire l’azione quotidiana, quando c’è, del particolare, come se quest’ultimo non avesse bisogno di un supporto culturale forte e condiviso. Staremo a vedere cosa succederà nel prossimo futuro, se i congressi che si apriranno saranno in grado di attivare delle riflessioni interessanti a tale proposito. Ho seri dubbi che ciò possa accadere visti, anche, i termini della discussione in sede locale.